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Lumia: basta con la latitanza di Matteo Messina Denaro 

Il senatore Beppe Lumia dai banchi del Senato, prende carta e penna e scrive una interrogazione parlamentare per mettere i puntini sulle i, relativamente alla latitanza di Matteo Messina Denaro, il capo mafia, ritenuto il bos dei bos di cosa nostra.Ecco il testo dell’onterrogazione delsenatore Lumia:

LUMIA – Al Ministro dell’interno. –

Premesso che, secondo quanto risulta all’interrogante:

Matteo Messina Denaro è latitante ormai da troppi anni. La sua latitanza mette in seria difficoltà l’autorevolezza e la capacità della nostra democrazia di garantire sicurezza, legalità e sviluppo;

il boss latitante è stato di recente chiamato in causa per il suo diretto ruolo nelle stragi del 1992 dalla Procura di Caltanissetta, che ha emesso un nuovo mandato di cattura che gli investigatori della DIA hanno notificato alla madre del boss a Castelvetrano (Trapani). Emerge un quadro ancora una volta molto chiaro del ruolo di Matteo Messina Denaro nel rapporto con il capo di Cosa nostra, Riina. Lo accompagnava a tutti gli incontri importanti, lo riempiva di attenzioni e regali, come racconta il collaboratore di giustizia Francesco Geraci. Significative a tal proposito sono proprio le dichiarazioni rese dal gioielliere Geraci: “In quei giorni Matteo (Denaro) mi portò Riina in gioielleria. C’erano anche la moglie e le due figlie di Riina. Mi affidarono una borsa con gioielli di famiglia, perchè li custodissi. Erano orecchini, monili e altro, che io ho occultato in un nascondiglio segreto della mia abitazione, unitamente a dei lingotti d’oro che in un’altra occasione Matteo mi aveva portato dicendomi che erano di Riina”. Ed ancora Geraci afferma che per compiacere il capo di cosa nostra, “Matteo regalò un Rolex Daytona, in oro e acciaio, a Gianni Riina, uno dei figli del capo di cosa nostra”. Sempre Geraci continua a raccontare che “In due occasioni, feci fare insieme a Matteo delle gite in barca a tutti e quattro i figli di Riina. C’erano anche le figlie di Pietro Giambalvo e di tale Vartuliddu di Corleone, entrambi all’epoca dimoranti a Triscina”. Pietro Giambalvo fa parte di una famiglia mafiosa di primo piano. I fratelli Giambalvo sono tre, uno di loro vive a Santa Ninfa, in provincia di Trapani, e due a Roccamena, vicino a Corleone, un’enclave legatissima a Riina e Bagarella. “Vartuliddu” è il soprannome di Bartolomeo Cascio, boss di spicco sempre di Roccamena, uomo di assoluta fiducia di Riina, tanto che, quando Riina festeggiò il fidanzamento con Ninetta Bagarella, fu scelto un locale di Monreale di proprietà dello zio di Bartolomeo Cascio. Cascio partecipa al gruppo di fuoco con Bagarella e oggi è libero e capace di assumere un ruolo di primo piano per gestire la crisi dovuta ad arresti e divisioni, come ad esempio gestire un’eventuale reggenza del mandamento di Corleone dovuta ad una difficoltà della famiglia dei Lo Bue. Fu proprio in quei giorni che Riina affidò a Matteo Messina Denaro il compito di colpire il giudice Falcone a Roma. Il boss collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori ricorda che Matteo Messina Denaro si recò a Roma con una macchina carica di “mitra, kalashnikov e alcuni revolver. Aveva pure due 357 cromate nuove. Procurò anche dell’esplosivo nella zona di Menfi – Sciacca”. Il progetto di morte però fu messo da parte, perché, sempre con la partecipazione di Matteo Messina Denaro, si decise di procedere diversamente proprio a Palermo e con un attentato clamoroso, un “attentatuni” come fu ribattezzato. Progetto sicuramente pensato e condiviso con le “entità esterne” su cui sono in corso da anni indagini delicatissime, spesso richiamate nell’ambito della cosiddetta “trattativa”. Sempre il collaboratore Sinacori afferma: “C’era anche Matteo (Messina Denaro) alla riunione di fine settembre, tenuta a Castelvetrano, in cui Totò Riina comunicò l’avvio della strategia stragista”;

di recente, è emerso il suo fondamentale ruolo nell’organizzazione dell’attentato al pubblico ministero Nino Di Matteo. Da notizie di stampa, si apprende che il boss Galatolo avrebbe confermato che Matteo Messina Denaro sarebbe stato il principale protagonista dell’organizzazione di un possibile agguato al magistrato Di Matteo, impegnato in delicate indagini come quella sulla trattativa Stato-mafia. “Si è spinto troppo oltre”, scriveva il padrino di Castelvetrano, il boss aveva acquistato 200 chili di tritolo, dopo aver messo insieme 700.000 euro. Una parte di quei soldi (circa 250.000 euro) arrivava appunto dalla vendita di una trentina di box a Palermo. E sarebbe stato proprio Marcello Marcatajo, avvocato civilista molto noto in città, legato alla borghesia professionale, utilizzata dai vertici delle amministrazioni locali, Comune e Provincia, a curare quell’operazione immobiliare. L’avvocato, infatti, è finito nell’occhio del ciclone durante le ultime inchieste e operazioni sul riciclaggio della Procura di Palermo, coordinata dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Roberto Tartaglia, Annamaria Picozzi, Francesco Del Bene e Amelia Luise e che ha portato anche all’arresto di Francesco Puccio, un ingegnere molto vicino a Marcatajo, e di Francesco e Angelo Graziano. Sono scattati i domiciliari, invece, per il figlio dell’avvocato Marcatajo, per la moglie dell’imprenditore di mafia Francesco Graziano, Maria Virginia Inserillo, e per Giuseppe e Ignazio Messeri, accusati di essere due prestanome;

la sua cattura è indispensabile e, grazie al coraggioso e intelligente operato della Direzione distrettuale antimafia di Palermo e delle forze dell’ordine, è altrettanto importante continuare a colpire il suo reticolo familiare, economico ed istituzionale, quella parte di mondo professionale e imprenditoriale a lui vicino, le protezioni di cui gode da parte degli apparati collusi, delle istituzioni colluse, della massoneria deviata, dei collegamenti internazionali. È necessario inoltre isolare culturalmente, socialmente e politicamente il “sistema Matteo Messina Denaro”, contrastare il consenso presente nel territorio, espresso anche attraverso i social network, sostenere le scelte di chi ha avuto il coraggio di denunciare e di coloro che lavorano intorno ai percorsi di legalità nelle scuole e nelle istituzioni a sostegno della parte sana della società;

va sviluppato inoltre un lavoro progettuale di rimozione delle cause del consenso e del radicamento mafioso, mettendo a fuoco il sistema di Matteo Messina Denaro, che è complesso e articolato anche sul piano familiare, economico, massonico, collusivo. Senza alcun pregiudizio, bisogna comprendere in tal senso il coinvolgimento e la complicità che riesce a mantenere e riprodurre ai vari livelli. Sul piano familiare, la situazione da inquadrare, secondo l’interrogante, è la seguente: Salvatore Messina Denaro (nonno del boss Matteo Messina Denaro) coniugato con M. R.; da questo matrimonio nascono: Brigida Messina Denaro coniugata con R. G.; Nicolò Messina Denaro coniugato con F. M.; Diego Messina Denaro; Francesco Messina Denaro (padre del boss Matteo Messina Denaro), deceduto mentre viveva da latitante il 30 novembre 1998, coniugato con S. L. di M. e B. G.; da questo matrimonio nascono: Matteo Messina Denaro nato a Castelvetrano il 26 aprile 1962, latitante dal 1993, in relazione con A. F.; da questa relazione nasce A. L.; Salvatore Messina Denaro; Rosalia Messina Denaro coniugata con Filippo Guttadauro (condannato a 14 anni); da questo matrimonio nascono: G. M., G. L. sposata con Girolamo Bellomo (in stato di fermo nell’ambito dell’operazione “Eden 2”); sempre da questo matrimonio sono nati: B. A. M. e B. C. e Francesco Guttadauro (in stato di fermo per l’operazione “Eden”); Giovanna Messina Denaro coniugata con A. R.; da questo matrimonio nascono: A. G. e A. F.; Patrizia Messina Denaro (in stato di fermo, operazione “Eden”) coniugata con Vincenzo Panicola (condannato a 10 anni processo Golem 2); Bice Maria Messina Denaro;

per quanto attiene alla parentela con la madre Lorenza Santangelo, la situazione è la seguente: S. R. coniugata con F. M.; da questo matrimonio nascono: Giovanni Filardo (assolto al processo “Golem 2”, in stato di fermo per il processo “Eden”); F. R. coniugata con Lorenzo Cimarosa (dichiarante al processo “Eden”, condannato a 5 anni e 4 mesi); F. A. M.; Matteo Filardo (assolto al processo “Golem 2”); S. G. coniugato con M. C.; da questo matrimonio nascono: S. G. M. A.; S. M.; S. B.; S. M.;

di recente, quando la DIA si e recata a casa della famiglia del boss per notificare il nuovo mandato di cattura per le stragi del 1992, sono state trovate foto ed immagini del boss latitante. Un vero e proprio culto di Matteo Messina Denaro che va oltre la sua latitanza, un modello esemplare, di cui essere orgogliosi e non una vergogna da cui prendere le distanze;

rimanendo in ambito familiare, sarebbe inoltre opportuno sottolineare che il padre di Matteo Messina Denaro è morto latitante. La madre ha acquisito la pensione di reversibilità del marito, boss latitante. Queste sono risorse pubbliche che, secondo l’interrogante, da un’attenta analisi, potrebbero risultare illegittimamente percepite dalla donna;

l’interrogante, durante diversi dibattiti pubblici, si è rivolto senza successo alla stessa figlia del boss, Lorenza, invitandola a convincere il padre a collaborare con lo Stato, sull’esempio di Peppino Impastato, che della rottura del familismo mafioso ne aveva fatto un punto di svolta, per far sì che il territorio sia finalmente libero anche dall’omertà mafiosa familiare e sia messo in discussione finalmente il consenso al sistema mafioso che verte intorno a Messina Denaro;

premesso inoltre che:

Matteo Messina Denaro può contare, secondo quanto risulta all’interrogante, anche su un altro sistema, quello imprenditoriale, vasto ed articolato, di cui è difficile riassumere l’ampia e capillare portata. Alcuni aspetti significativi darebbero comunque il senso della capacità del boss di trasformare il rapporto con gli operatori economici da classicamente collusivo in proiezione diretta, tipica della mafia imprenditoriale;

nel campo dell’eolico: inchiesta della Direzione distrettuale antimafia nelle province di Palermo e Trapani, che ha portato all’arresto anche di un consigliere comunale e di un imprenditore. I proventi delle aziende del settore delle rinnovabili erano in parte utilizzati per sostenere il superboss. Sono stati inoltre sequestrati beni per 10 milioni di euro (7 dicembre 2012) al re dell’eolico prestanome di Messina Denaro. La DIA confisca un tesoro dall’elevato valore di 1,3 miliardi di euro mettendo i sigilli all’impero di Vito Nicastri, formato da 43 società che operano nel settore dell’energia pulita. L’imprenditore trapanese è accusato di essere stato vicino all’ultimo grande latitante della mafia siciliana (3 aprile 2013); sono stati sequestrati beni per 20 milioni di euro con una maxi operazione di Guardia di finanza e Ros dei Carabinieri contro le infiltrazioni di Cosa nostra nel trapanese. Nella rete di affari del superlatitante ci sono residence turistici, impianti eolici, lavori edili e poli tecnologici (15 dicembre 2014); ed ancora beni per 18,5 milioni di euro sequestrati a boss vicini a Messina Denaro con un’operazione dei carabinieri del Ros in provincia di Trapani. Nel mirino i patrimoni degli imprenditori Salvatore Agnello e Antonino Nastasi (16 gennaio 2015);

nella grande distribuzione: confisca al re dei supermercati Despar, sigilli a un patrimonio da 700 milioni di euro. Le indagini della Direzione investigativa antimafia consegnano allo Stato l’impero di Giuseppe Grigoli, l’imprenditore trapanese arrestato nel 2007 con l’accusa di essere un prestanome del superlatitante Matteo Messina Denaro (24 settembre 2013). Attività economiche su cui si sta esercitando, dopo i primi clamorosi errori, l’impegno dello Stato per recuperare al lavoro legale centinaia di lavoratori;

nel settore delle cave: un importante atto è stato compiuto dall’ex assessore Calleri: “Tolta cava a Messina Denaro e avviati controlli su tutti gli impianti eolici”. L’ex assessore per l’energia annuncia il provvedimento preso “in silenzio”, prima della crisi di Governo: “Abbiamo lavorato senza fare clamore”. “Una scelta coraggiosa”, dice Crocetta, presidente della Regione Siciliana (25 ottobre 2014);

nel settore calcestruzzi: sequestrata un’impresa di calcestruzzi a Mazara del Vallo (Trapani), la società Calcestruzzi Mazara SpA. La Guardia di finanza e la squadra mobile hanno sequestrato lo stabilimento, tutti i beni strumentali e l’intero capitale sociale, per un importo complessivo di 5 milioni di euro. Sarebbe controllata dalla famiglia Agate, vicina al clan Messina Denaro (23 giugno 2009); colpo a clan Messina Denaro, sequestro da 18 milioni di euro, Salemitana calcestruzzi s.r.l. (16 gennaio 2015); sequestrati i beni di Messina Denaro per 550 milioni di euro “Un colpo all’economia di Cosa nostra” all’imprenditore agrigentino Rosario Cascio, 75 anni (27 gennaio 2010); Calcestruzzi Belice con sede a Montevago (400.000 euro), Calcestruzzi Clemente, Montevago (103.000 euro), ditta Cascio Rosario di Partanna (edilizia), ditta Accardo Maria di Partanna (ortorfutta e olivicola), Calcestruzzi Srl di Montevago (46.000 euro), Atlas Cementi di Mazara, Inerti Srl di Menfi, ditta di trasporto Trasped, Vini Cascio Srl di Castelvetrano, Efebo car di Castelvetrano (concessionaria d’auto), Castelpetroli di Castelvetrano (impianti distribuzione carburante), Saturnia (agricoltura) di Partanna, Olivo snc di Partanna, terreni e fondi rustici a Manicalunga di Castelvetrano, a Partanna, Menfi, fabbricati a Partanna, Menfi;

nell’ambito movimento terra: sequestrati i beni a Filardo, il cugino di Messina Denaro. Sul patrimonio del cugino del latitante Matteo Messina Denaro si abbatte la scure della sezione Misure di prevenzioni del Tribunale di Trapani. Il provvedimento eseguito dalla DIA, dalla Guardia di finanza e dal Ros dei Carabinieri di Palermo. BF Costruzioni Srl, di numerosi mezzi automezzi, terreni, e di una villa a Triscina, frazione di Campobello di Mazara (11 settembre 2014); nuovo sequestro di beni per Lorenzo Cimarosa. Si tratta di beni immobili e il centro ippico gestito a Castelvetrano da uno dei figli di Cimarosa. M. G. costruzioni (23 dicembre 2014), su cui va registrata una presa di distanza dal superboss;

nel settore agroalimentare: Matteo Messina Denaro mette le mani sull’olio siciliano: sequestri per 20 milioni di euro. Dopo gli affari nell’eolico, arrivano quelli con gli uliveti. Carabinieri del Ros e Guardia di finanza hanno scoperto un’altra fonte di sussistenza di Matteo Messina Denaro, che utilizzava imprenditori prestanome per portare avanti i propri traffici: l’operazione vale 20 milioni di euro (15 dicembre 2014);

nel settore alberghiero: caccia a Messina Denaro, sequestrati albergo e 25 milioni di euro a un presunto prestanome, albergo di San Vito Lo Capo, il “Panoramic” (18 gennaio 2012); in bilico i 5 miliardi di mister Valtur. La DIA: prestanome di Messina Denaro passato al setaccio dagli investigatori il patrimonio di Carmelo Patti: secondo la ricostruzione dell’accusa, sarebbe emersa “una inquietante sperequazione fra redditi e investimenti”. Chiesto dalla Direzione antimafia il sequestro dei beni (12 marzo 2012);

considerato che:

è dell’agosto 2015 l’operazione denominata “Ermes” nei confronti di esponenti di vertice delle famiglie di Cosa nostra trapanese e a carico di presunti favoreggiatori del boss latitante Matteo Messina Denaro. L’operazione, eseguita dalle squadre mobili di Palermo e Trapani con il coordinamento del Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia di Stato e la partecipazione anche di personale del Ros dei Carabinieri, ha portato all’arresto di 11 fedelissimi del boss latitante, stringendo sempre più le maglie della legge sulla rete di protezione del capomafia. Le misure cautelari sono state notificate ai capi del mandamento mafioso di Mazara del Vallo e dei clan di Salemi, Santa Ninfa e Partanna. Sono stati effettuati arresti e perquisizioni, nelle province di Palermo e Trapani, nei confronti di esponenti di vertice delle famiglie di Cosa nostra trapanese e a carico di presunti favoreggiatori. Le indagini rappresentano una progressione investigativa delle precedenti operazioni “Golem I e II” ed “Eden I e II”, della Polizia di Stato e dei Carabinieri, a carico di fiancheggiatori e parenti del latitante;

è del dicembre 2015 l’ultimo duro colpo al patrimonio riconducibile alla cosca di Matteo Messina Denaro. I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani, nell’ambito dell’operazione “Mandamento bis”, hanno sequestrato beni per 10 milioni di euro agli imprenditori Antonino e Raffaella Spallino, ritenuti prestanomi del clan. I provvedimenti, richiesti dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo, hanno interessato le province di Trapani, Palermo e Reggio Calabria. L’operazione si inserisce nelle complesse operazioni finalizzate alla cattura del latitante, ed in particolare quest’ultima è la prosecuzione di quella che nel dicembre 2012 ha portato all’arresto dei vertici del mandamento di Castelvetrano, supporti economici del latitante, e al sequestro di 16,5 milioni di euro. Già nelle precedenti operazioni si era accertato come la struttura criminale esercitasse un rigido controllo territoriale finalizzato, tra l’altro, all’acquisizione sistematica dei lavori per la realizzazione degli impianti di produzione delle energie rinnovabili. L’operazione odierna conferma il forte interesse e la pressante presenza del latitante rispetto ai lucrosi settori dell’energia e dei rifiuti. Questa volta i sigilli sono scattati, infatti, per 12 imprese attive nei comparti della produzione di energia elettrica e della raccolta di rifiuti, per complessivi 10 milioni di euro. Sotto sequestro anche attività agricole, edili, di ristorazione e gestione di immobili, 34 immobili tra appartamenti, uffici, autorimesse, magazzini e terreni; 28 rapporti bancari e 5 autocarri;

si è quindi in presenza di un vero e proprio sistema di co-gestione tra mafia, politica ed economia messo in opera per fare affari in prima persona o per conto di terzi, una mafia ben sommersa in grado di fare grandi affari e di farsi direttamente impresa;

sembrano convinti di questo sistema illegale investigatori e magistrati, a Trapani c’è una mafia che non ha bisogno di lupare, una mafia che ha fatto diventare legale il proprio sistema illegale. È un’organizzazione silenziosa e in apparenza tranquilla, dove anche i familiari del pericoloso Matteo Messina Denaro, pur subendo il sequestro di beni, sfoggiano ancora un altissimo tenore di vita, tanto da fare sposare i loro figli nella famosa e stupenda cappella Palatina di Palermo;

un altro lato del sistema Messina Denaro è costituito, secondo quanto risulta all’interrogante, dal rapporto con la massoneria che, a Trapani, avrebbe svolto un ruolo storico nel legame con Cosa nostra, come è stato dimostrato dalla vicenda della loggia “Scontino”;

andrebbe posta l’attenzione, secondo l’interrogante, sulla famosa loggia massonica segreta di via Carreca, denominata “Iside 2” del gran maestro Gianni Grimaudo, cui sarebbero stati iscritti “colletti bianchi” e mafiosi e, oggi si è scoperto, anche politici. Inoltre, è sempre stato vivo il tentativo di avvicinarsi alla magistratura che si occupa di indagini antimafia;

proprio in un verbale di interrogatorio dell’ex patron del Trapani, Nino Birrittella, arrestato nel 2005, perché, come da sua stessa ammissione, componente della cupola mafiosa legata a Messina Denaro, si parlerebbe di massoneria. Secondo Birrittella infatti sarebbe necessaria per avere agganci utili e la maggior parte delle decisioni erano subordinate a questa. Proprio Birrittella parla di sostegno avuto dalla Banca di credito cooperativo Paceco, finita nel mirino della Banca d’Italia per un credito di 500 milioni di euro, concesso ad un imprenditore accusato di rapporti con Cosa nostra, Filippo Coppola. Tra i nomi citati da Birrittella ci sarebbe l’ex presidente di Assindustria Trapani, Nino Maltese, che, come Birrittella stesso definisce, è un noto appartenente di rango alla massoneria. La loggia, sempre secondo le dichiarazioni rese da Birrittella, si riuniva il martedì in un ufficio in un palazzo di corso Italia, nel cuore di Trapani. La loggia avrebbe influito direttamente sugli uffici pubblici, la Prefettura, il Comune, la Camera di commercio, l’ospedale, e avrebbe avuto inoltre un controllo sulle attività giudiziarie condotte nella vicina Procura;

inoltre, negli anni più recenti, sarebbero emersi contatti con servizi deviati: la corrispondenza fra “Alessio” e “Svetonio”, ex sindaco di Castelvetrano, Tonino Vaccarino, e di recentissimo, sabato 21 novembre 2015, nella città di Matteo Messina Denaro, Castelvetrano, si sono verificate scene di applausi al boss ai funerali della vedova di Vito Panicola, la folla ha applaudito l’arrivo del figlio, Vincenzo, scortato dalla Polizia penitenziaria;

nell’ambito di recenti indagini volte alla cattura del latitante, il servizio centrale operativo della Polizia avrebbe, secondo quanto risulta all’interrogante, rilevato i contatti di uno dei favoreggiatori del latitante, Domenico Scimonelli (addetto alla distribuzione dei cosiddetti pizzini), con un funzionario del Ministero dello sviluppo economico. Ai contatti sarebbero poi seguiti degli incontri, finalizzati alla definizione di una pratica di accesso al fondo di garanzia delle piccole e medie imprese. Tutto ciò nell’estate 2014. Di recente, Scimonelli, arrestato per associazione mafiosa nell’agosto 2015, è stato anche destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare per omicidio. Dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Palermo sarebbe altresì emerso l’impegno politico di Scimonelli, imprenditore siciliano del settore vinicolo, nella Democrazia Cristiana, fino a qualche mese fa parte del consiglio nazionale della formazione politica;

ed inoltre uno dei pentiti chiave dell’ultima indagine dei magistrati parla dei rapporti tra mafia trapanese e uomini dei servizi segreti, proprio nei mesi delle stragi. Dichiarazioni, queste, non degli ultimi mesi. Infatti già nel 1992 Armando Palmeri, oggi collaboratore di giustizia e all’epoca fedelissimo autista del capomafia di Alcamo Vincenzo Milazzo, aveva parlato dei rapporti di Matteo Messina Denaro, al tempo delle stragi, con uomini degli apparati dei servizi segreti. Dichiarazioni che però non ebbero sviluppi investigativi;

Matteo Messina Denaro risulta avere gradi di parentela con importanti famiglie mafiose newyorkesi, come i Gambino, i Lucchese, i Bonanni, i Genovese, di cui spesso si sottovaluta la portata collusiva sul piano internazionale, compresi i legami che potrebbero emergere con boss che operano in alcuni Paesi del Mediterraneo, come la Tunisia;

indagini e processi, nonché relazioni della Commissione di inchiesta sul fenomeno delle mafie hanno fatto emergere rapporti diretti del boss con rappresentanti delle istituzioni, al punto che si può definire la mafia trapanese come una mafia che si fa direttamente politica, capace, anche nel legame con le istituzioni, di andare oltre il classico approccio collusivo. Infatti, non sono mancate le capacità del boss di costruire solidi legami con consiglieri comunali di Castelvetrano e di altri piccoli e grandi Comuni della provincia di Trapani, sindaci, assessori, deputati regionali e parlamentari nazionali. È esemplificativo il dialogo, riportato sulla testata online “LiveSicilia”, tra i consiglieri comunali di Castelvetrano Calogero Giambalvo e Franco Martino che, parlando prima del padre di Matteo Messina Denaro e dei loro incontri, si sarebbero così espressi: “Ci siamo abbracciati e baciati, io ogni volta che lo vedevo mi mettevo a piangere”, poi parlando direttamente di Matteo Messina Denaro avrebbero affermato: “quando è arrivato (…) mi sono alzato, abbiamo fatto mezz’ora di pianto tutti e due”. Al di là delle responsabilità penali, esiste una responsabilità politica che rende incompatibile la presenza nelle istituzioni di rappresentanti politici con questo grado di collusione;

nell’azione di contrasto alla Cosa nostra trapanese si sono avute diverse vittime: dal giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto, all’attentato del giudice Carlo Palermo, dove vennero uccisi la signora Barbara Rizzo Asta e i suoi gemellini di 6 anni, il giornalista Rostagno. Dai boss Virga e Mangiaracina Cosa nostra trapanese ha avuto sempre un ruolo di primo piano. Oggi Matteo Messina Denaro ha sviluppato un ruolo che va bloccato e distrutto alla radice,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno monitorare, nei limiti delle prerogative previste dalla legge, la rete familiare di Messina Denaro per comprendere il tenore di vita, per applicare le opportune misure di prevenzione patrimoniali e verificare la liceità delle eventuali pensioni a carico dell’erario, come quella elargita a favore della madre del boss;

quali azioni di competenza abbia intrapreso per prevenire l’infiltrazione nelle istituzioni e negli apparati pubblici del sistema di collusioni al servizio del boss;

quale supporto, per quanto di competenza, intenda fornire alla magistratura, alle forze dell’ordine e ai servizi di informazione e sicurezza, per far progredire le indagini e giungere alla cattura del pericolosissimo boss mafioso;

se risultino fondati i sospetti di collegamento sia con la vecchia massoneria, a tal fine monitorando l’attuale posizione degli appartenenti alle logge menzionate, sia quelli con la nuova massoneria, attraverso una capillare verifica delle attuali adesioni;

se siano monitorati i contatti di Matteo Messina Denaro con le famiglie mafiose d’Oltreoceano e con altri soggetti criminali operanti nel Mediterraneo.

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