Dovremmo partire dalla fine per descrivere il lavoro del giovane regista netino Francesco Di Martino perchè con il premio del pubblico decretato all’Orobie Film Festival di Bergamo e l’incontro con tutti coloro i quali hanno creduto in questo progetto, prossima settimana da Marpessa a Noto, è giunto il momento di parlare di “Gleno, dove finisce la valle”. Incontriamo il regista Francesco Di Martino, in un ancora freddo pomeriggio di marzo, che ben si sposa con le atmosfere vissute nei luoghi di Gleno. “L’idea nasce nel 2008 -inizia così- mi trovavo a Milano a presentare il mio primo libro “Impressioni siciliane scomposte”, pubblicazione di foto, video e poesie, ed ero ospite di un amico a Bergamo che mi fece visitare la Presolana, Alpi Orobiche in cui nella valle più piccola, Val di Scalve, ci sono quattro paesi. Posti incantevoli ma segnati da una tragedia datata 1923, quando una diga, dopo appena sei mesi dalla costruzione crollò causando almeno 500 morti, e cambiando quei luoghi per sempre”. Ed a chiedere in giro non sono pochi quelli che sconoscevano del tutto questo fatto di cronaca che non ebbe una eco ne in quegli anni e nemmeno nei successivi, una sorta di tragedia da “serie B” che, però, alla sensibilità del regista netino non rimase indifferente. Passarono gli anni ma la curiosità sui luoghi e sul fatto non scemò, anzi, Di Martino iniziò a documentarsi ma il progetto restò nel fatidico cassetto sino al 2013, quando già nato il Collettivo Artistico FrameOff sembrò ci fossero quelle condizioni adatte per tirarlo fuori. L’occasione fu un altro viaggio in Lombardia, questa volta per impegni personali, ed a Bergamo l’idea passò da seme a germoglio, iniziando a pensare ad una ricerca dei sopravvissuti o meglio dei figli dei sopravvissuti. “Quando nasce un progetto- ci confessa il regista- è necessario avere intorno anche l’humus giusto. Scopro di averlo. A settembre del 2013 parlo con Tatiana Vecchio, producer di Lentini, che in quel periodo stava lavorando sulle dighe, e sua socia è Carmen Guizzetti di Lovere, paese sul lago d’Iseo. Sembra che i tasselli del puzzle comincino a mettersi al loro posto e in autunno sono in Val di Scalve con la mia amica Valentina Luciano. La montagna è un luogo chiuso e i miei primi contatti sono le Pro Loco ma mentre inizio le riprese vedo che la curiosità intorno a me cresce e inizia il mio contatto diretto con le persone, vado in fondo alla storia, trovo le testimonianze dirette ed una serie di persone che diventano i protagonisti del mio film. Realizzo le riprese in tutte le stagioni dell’anno, diventa più di un documentario della tragedia del ’23 e pur non essendo un uomo di montagna riesco a raccontarla; diventa un’esperienza di vita bellissima dove gli stereotipi della gente di montagna, crollano sotto i colpi di un’accoglienza ed un affetto inimmaginabili, ed a questo punto è loro che voglio raccontare”. Ci tocca le corde dell’emozione, ci fa sentire quanto profondo sia stato il contatto tra chi sta dietro la macchina da presa e chi invece davanti per raccontare una storia, dei luoghi, un fatto. Ma dobbiamo ancora capire come poi si sviluppa il lavoro, con chi e soprattutto come si arriva al film ed allo straordinario successo già alla prima proiezione ufficiale, l’Orobie Film Festival. “Ora posso fare il teaser ( presentazione del progetto con immagini e testimonianze) – prosegue Di Martino- e lo propongo su “Produzioni dal basso” piattaforma dove inserendo il teaser si possono raccogliere le quote per finanziare il progetto, tra queste importante è stata la partecipazione di Marpessa, noto locale di Noto, i cui proprietari sono bergamaschi e dunque ben felici di far raccontare una storia appartenente ai loro luoghi natii”. Quando si dice l’humus. “A fine febbraio torno in Val di Scalve con il Collettivo FrameOff, Francesco Valvo e Giuseppe Portuesi, e in estate con Licia Castoro, sempre del nostro Collettivo. Tutto prende forma; sui fatti un grande aiuto hl dalla giornalista Licia Bassanesi e trovo un degli ultimi sopravvissuti, un uomo di 99 anni con una lucidità incredibile, nonostante all’epoca avesse appena 8 anni, mi racconta quei momenti e soprattutto mi fa rivivere il “dopo tragedia”. La Val di Scalve era molto ricca di miniere, impossibile non parlare della vita in essa, del rapporto tra l’uomo e la montagna, ecco perchè “dove finisce la valle” per raccontare le barriere fisiche di una valle, l’identità del territorio che è fortissima perchè la montagna è una bussola, ti dice sempre dove sei”. Ci sono, infatti, tanti “extra”, ad esempio quello realizzato con uno degli ultimi minatori; un film ma non una sola storia, un fatto ma non il suo mero racconto, questo è “Gleno, dove finisce la valle” di Francesco Di Martino, con riprese a cura del Collettivo Frameoff, fotografia di Giuseppe Portuesi e Licia Castoro, testo di Francesco Valvo, Valentina Luciano per l’audio e il suono, Santo Di Benedetto per la grafica. “Finite le riprese nel luglio 2014 devo ora passare alla fase del montaggio con Maria Chiara Piccolo, napoletana ma residente a Milano. Dal primo montato di 84′ riusciamo poi a portarlo a 56′, e, nel frattempo, Giovanni Fiderio, violinista siracusano, a cui come Collettivo avevamo affidato la colonna sonora di “Caminanti”, compone le musiche. Di fatto chiudo il progetto nello scorso mese di gennaio, da notare anche che il testo è in dialetto scalvino tradotto da Marco Bendotti (protagonista) e recitato da Claudia Tagliaferri di Bueggio uno dei primi paesi distrutti dal crollo della diga, mentre Corrado Iuvara si è occupato della color correction. Dicevo il film pronto in gennaio ha il tempo di partecipare all’Orobie Film Festival di Bergamo, rassegna specifica sui film di montgna, alla sua 9 edizione, e nella sezione “Orobie e montagne di Lombardia” arrivo in finale e mi aggiudico il premio del pubblico come Miglior film del Festival, a ritirare il premio Carmen Guizzetti. Una vittoria che ci ha spiazzati, perchè in un contesto di altissima qualità e poi perchè non è davvero facile raccontare una realtà così diversa da quella che ci appartiene. Mi sono sentito molto emozionato perchè la mia storia è arrivata agli spettatori”. Ma c’è una cosa che Francesco Di Martino vuole evidenziare, ed è il profondo grazie a tutti quelli che in vario modo e in diversa misura lo hanno collaborato. “Le sinergie sono fondamentali e io, proprio in questo momento devo ringraziare tutti, ognuno è stato fondamentale: FrameOff, PianoD, un film come questo non sarebbe potuto nascere. E desidero ricordare che con Giovanni Fiderio, per le musiche, hanno collaborato i Tapso II, Mushrooms, e il musicista bergamasco “Il Bepi”, Tizano Incani, cantastorie rocker, che ci ha concesso l’uso del brano “Kentucky”, ed ha fatto un brano “Gleno” che racconta nei suoi giri di questo disastro. Altro extra è rappresentato dall’ultimo pescatore della bergamasca Daniele Baiguini che spiega come il suo lavoro probabilmente morirà con lui”. E adesso la promozione del film come avverrà? “Siamo intenzionati a fare un tour nel 2015, grazie alla rete di FrameOff, e mi piacerebbe puntare sulla montagna fare conoscere questi luoghi che di fatto vivono di turismo. Il film, infatti, si chiude con la storia di due alpinisti Marco Astori e Robi Piantoni, primi bergamaschi a scalare l’Everest, e protagonisti di una disgraziata avventura che verrà raccontata con delle immagini davvero di testimonianza forte”. Non il primo lavoro di Francesco Di Martino ma affrontato e proposto con l’entusiasmo della prima volta, ed è contaggioso. Per capire, infatti, il lavoro d’equipe abbiamo anche raccolto le testimonianze degli altri componenti di FrameOff, partendo da Licia Castoro: “L’esperienza sul Gleno è stata molto forte.Girare un film non è mai una cosa facile, il risultato finale non è che parte di un lavoro che vale la pena approfondire.Durante il periodo di realizzazione, tra sopralluoghi e riprese, Francesco ha dovuto programmare diversi viaggi in valle, e ha sfruttato il passaggio delle stagioni per poterla documentare; di conseguenza io e gli altri membri del collettivo (Frameoff) abbiamo dovuto fare delle scelte e dividerci. Gli altri ragazzi sono partiti tra marzo e aprile; io sono partita a Giugno. Mi sono occupata delle riprese video, primissima esperienza per me, in quanto fotografa, tant’è che Francesco in più occasioni è stato costretto a richiamarmi all’ordine.È stata un’esperienza unica. Le persone che vivono in valle sono eccezionali, il paesaggio è affascinante e la colazione del bar di Roberta squisita.Avevamo pochissimo tempo, e dovevamo gestirlo bene. Pur dovendoci piegare ad una tabella di marcia abbastanza rigida, che non concedeva scelte di orari, in pochi giorni abbiamo fatto interviste agli abitanti, conosciuto persone nuove, ascoltato le loro storie, girato moltissime riprese di paesaggio, e abbiamo persino trovato il tempo di soffermarci a godere dello spettacolo della valle, con i suoi colori e i suoi suoni. L’ospitalità nella valle è particolare e unica. Ci sono storie importanti che non credo dimenticherò mai, in particolare quella di Francesco, detto Checco, e di tutta la famiglia Morandi. Un paesaggio come quello di Via Mala riesce a bloccare e lasciare immobili; si può solo stare a guardare, salvo l’attimo in cui subentra la professione che invita a fotografare e fare uno scatto, ma uno soltanto, perché è già tutto perfetto così”. Da Licia Castoro a Francesco Valvo: “Niente più della montagna, con le sue inaccessibili verità, ti può restituire l’essenza di un lavoro documentario. Quando la Scalve si è mostrata con le sue ripide pareti e i suoi abitanti ci hanno accolto tra la bellezza della loro “normalità” abbiamo intuito che “Gleno: dove finisce la valle” sarebbe stato un film con una grande forza interiore: raccontare il rapporto tra uomo e natura, attraverso i pensieri di chi ha fatto della Valle la sua casa. Per questo quando Francesco mi ha chiesto di occuparmi della stesura dei testi ho subito immaginato un dialogo profondo tra la montagna e gli Scalvini, cercando di interpretare la tragedia della diga come un rapporto tradito, una ferita che oggi questa gente, come tantissime realtà in Italia, cerca di curare attraverso il rispetto e la difesa del proprio luogo”. Da Francesco Valvo a Giuseppe Portuesi: “Ilavoro sul Gleno è un progetto che nasce dalla voglia di raccontare la valle da parte di Francesco, ma ognuno di noi ha voluto dare il proprio contributo durante la lavorazione del film. Partecipare è stata un’esperienza senza dubbio interessante. Ci siamo trovati tra paesaggi mozzafiato e storie di vita forti, che oggi, lontano dai nostri contesti cittadini suggeriscono delle domande sul nostro stare al mondo. Ancora una volta, fare parte del Collettivo FrameOff mi fatto sentire fortunato per aver lavorato ad un progetto importante e per aver arricchito le mie esperienze personali”. E per chi avesse curiosità di scoprire altri particolari l’appuntamento è da Marpessa la prossima settimana, in Valle, invece, la prima assoluta sarà in aprile e gli abitanti stanno già aspettando!
Emanuela Volcan
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