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La lettera del Vescovo al Presidente Mattarella: “La bellezza che libera il nostro Sud!”

Una bellissima lettera scritta dal Vescovo Staglianò al Presidente Mattarella oggi atteso in città in occasione della chiusura definitiva dei lavori alla Cattedrale.

Riportiamo il testo integralmente.

Grazie Presidente Mattarella

Carissimo Presidente Sergio Mattarella,

gentili Autorità, voi tutti che abitate questa terra e quanti avete contribuito in molti modi alla ricostruzione della Cattedrale, grazie! Grazie per quanto fatto da ognuno. La ricostruzione della cattedrale è stata un’“opera compiuta” del nostro Mezzogiorno: “compiuta” perché effettuata nei tempi e nei modi propri di una cura adeguata. Per questo la pensiamo simbolica di una più ampia ricostruzione, che fa pensare a possibili cammini di liberazione per il nostro Sud.

Pertanto, nell’odierna “consegna” della Cattedrale, colgo un triplice significato: c’è un modo di essere Stato e di essere Chiesa maturato nella nostra storia come una grande opportunità di crescita del Paese; c’è un segno di bellezza, incastonata in un prezioso poliedro di virtù; c’è un motivo di speranza per il nostro Sud.

  1. Stato e Chiesa hanno collaborato per riconsegnare a tutti un monumento, che è al tempo stesso la Cattedrale di questa Chiesa netina e un elemento importante di un più ampio composito urbanistico. Abbiamo di fronte cattedrale e palazzo di città, nella mediazione del Corso e nel comporsi di vie e palazzi attraversati dalla luminosità del sole che risplende con particolare intensità in questo lembo di Sicilia. Chiesa e Stato si sono pensati, nel recente concordato, come distinti, per identità, ma convergenti nella ricerca del bene comune. Il bene comune prende corpo nella vita della gente, che gode del ritrovarsi al Corso, che abita le case, che lavora e cerca lavoro: è la gente che cerca un senso per la vita e custodisce una fede per i propri figli, partecipando alla città e sperando che sempre più ci siano giustizia e pace. Il Corso unisce scalinata della Cattedrale e portico del Palazzo di città, e, allora, diventa simbolo della gente chiamata da una parte a vivere una fede che sia un salire al monte di Dio per ascoltarne la voce – la cattedra del vescovo è in funzione dell’annuncio del Vangelo – e dall’altra chiamata ad abitare la casa comune, come luogo dei propri diritti e della propria identità civica. Noi ci pensiamo in questo momento a servizio della gente, che ci chiede – nei diversi livelli di responsabilità, serietà, trasparenza, correttezza-, operosità per il bene. Noi ci pensiamo con tutti i territori del Paese, qui rappresentati dalla più alta carica dello Stato, come popolo che custodisce una memoria, affronta i problemi del presente e coltiva una speranza, e per questo cura la bellezza della vita e dei monumenti.
  1. Come ha detto nel messaggio di fine anno, caro Presidente, «l’Italia è vista all’estero come il luogo privilegiato della cultura e dell’arte, e lo è davvero. Questo patrimonio costituisce una nostra ricchezza, anche economica. Abbiamo il dovere di farlo apprezzare in un ambiente adeguato per bellezza». Ecco, quest’ambiente adeguato è la profondità di una bellezza recuperata, non solo nell’esito della ricostruzione – già mirabile per un’armonia non ovvia, avendo scelto di ricostruire ma anche di decorare –, recuperata questa bellezza soprattutto nelle valenze e nelle virtù che questa ricostruzione ha richiesto da parte di chi ha ideato e da parte di chi ha lavorato. “Una bellezza difficile” l’ho definita, per rilevare la necessità di una lettura che vada in profondità, che aiuti a comprendere come la bellezza dell’arte porta “fuori” la bellezza dell’umano che siamo noi. E, quanto alla bellezza della cattedrale e del nostro barocco, non bisogna dimenticare che nasce dall’evento drammatico del terremoto: «La bellezza della città – ho scritto – è ravvisabile certo nelle linee e nelle curvature delle facciate, con le loro decorazioni di mensole, riccioli e volute di pietra, mascheroni, putti, e gli ameni balconi dai parapetti di ferro battuto. L’incanto però – ho sottolineato – è dato soprattutto dagli abitanti che, dopo quel disastroso terremoto, decisero di ricostruire la città, fissando nelle loro opere un ardente desiderio di vita, di cultura e di socialità». E questo vale per tutto il Val di Noto, vale per ieri e vale per oggi. Impegnando a decidere in modo da salvaguardare questo patrimonio, evitando scelte poco consone. Anche per questo i vescovi italiani abbiamo chiesto di discutere su problemi come le trivellazioni, per avere consapevolezza che non tutte le vie portano ad uno sviluppo vero e che, comunque, ci assumiamo con le nostre scelte precise responsabilità in ordine al futuro delle nuove generazioni.

 

  1. Alla superficie della bellezza, dunque, fa riscontro un tessuto profondo e variegato che ci ricorda come solo da forti tensioni comuni si generi «la bellezza che salva il mondo». Nel gioco tra visibile e invisibile che – come abbiamo detto i vescovi italiani nel documento sul Mezzogiorno – è il nostro contributo più proprio del Sud al Paese. Vengono allora alla luce le odierne tensioni alla coesione sociale che nel nostro territorio assume il volto dei cantieri educativi, promossi dalla nostra Caritas e dalla Fondazione di comunità Val di Noto, con il sostegno della fondazione con il Sud, per ripensare le città a partire dai piccoli e dalle periferie. Come pure fanno parte di una bellezza incarnata le reti di economia solidale che si vanno sviluppando nel territorio o il seme del martirio di don Puglisi, che è diventato a Modica una Casa che accoglie con la misura alta del Vangelo, proponendo di mettersi ai piedi della crescita dei bambini, per imparare la verità delle relazioni. Celebriamo allora oggi il migliore Sud che alza la testa, si mette insieme, coltiva speranza, accoglie i migranti: li accogliamo a casa nostra con il progetto “rifugiato a casa mia”, rispondendo all’appello di papa Francesco, e li accogliamo offrendo un presidio di legalità. Li accogliamo per generare umanità nuova nella convivialità della differenze, della mensa comune, secondo la profezia di Gioacchino da Fiore sull’età dello Spirito.

 

Grazie Presidente, per la sua presenza che incoraggia questi cammini. Restano certo gravi i problemi, a iniziare da quello drammatico della disoccupazione, ma li vogliamo affrontare con quella lucidità e lungimiranza che la bellezza dei monumenti e della vita alimenta. Ritrovando nella cultura e nell’arte, non una parentesi alienante, ma la possibilità di elaborare tutto e  tutto ripensare in prospettiva. Con la capacità di visione di un figlio di questa terra, Giorgio La Pira, che pensava il Mediterraneo come il nuovo lago di Tiberiade e che ricordava come pane, casa, lavoro sono priorità evangeliche oltre che umane e civiche, stelle polari della nostra Costituzione. Con lui vogliamo continuare a pensare le città «non come cumuli di pietre ma come abitazioni di Dio», come «città a misura di sguardo». Grazie Presidente Mattarella!

 

Noto 8 Aprile 2016

Antonio Staglianò

Vescovo di Noto

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